Da un lavoro di Caterina Scaramozzino, Il transessualismo tra biologia, storia e società. 2020.

Tentare di dare una definizione univoca e globalmente accettata di cosa sia essenzialmente la sessualità risulta essere questione assai ardua che necessita di un intreccio profondo di fattori multidisciplinari: la sessualità ingloba come concetto componenti biologiche, psicologiche, sociali e culturali. L’uomo è infatti dotato di capacità affettive che si mescolano imprescindibilmente nel rapporto con l’altro, dando vita ad una forma di reciprocità onnicomprensiva.

Una definizione articolata ed esauriente proviene dalla Dott.ssa Avodah K. Offit nel 1977, la quale affermava: “la sessualità è quello che noi ne facciamo: una merce preziosa o da poco, un sistema per riprodursi, una difesa contro la solitudine, una forma di comunicazione, […] amore, lusso, arte, bellezza, uno stato di grazia, il male e il bene, […] una fonte di libertà, un dovere, […] un desiderio o un’esperienza di morte, un modo per trovare la pace…”.

Altra complicanza concettuale è l’impossibilità di ridurre le tipologie sessuali ad un sistema binario, basato sulla logica duale del “maschile” e del “femminile”, del blu e del rosa, dell’uomo e della donna. Ciò che realmente va approfondita è la sostanziale difficoltà di inquadrare dei confini con netta demarcazione, di “concepire l’umanità suddivisa in due sessi polarmente opposti senza gradazioni” (Cipressa S, 2010). Sembra chiaro quanto siano poco validi i prototipi di perfezione che vengono rispettivamente incarnati dall’uomo dotato solo di forte mascolinità e dalla donna estremamente femminile.

Appare più chiara ed evidente una mescolanza di peculiarità che non consente di incamerare gli esseri umani in due sole categorie predefinite: ci si muove su un continuum i cui estremi, rappresentati dalla pura femminilità e dalla pura mascolinità, sono irraggiungibili e al contempo essenziali per riuscire a comprendere la sessualità dell’individuo.

IDENTITA’ SESSUALE, IDENTITÀ DI GENERE E RUOLO DI GENERE

Interrogarsi sulla propria identità sessuale implica il saper rispondere ad una moltitudine di domande che iniziano a palesarsi fin dalla tenera età e comprendono l’importanza di identificarsi come soggetto-femmina o soggetto-maschio, consentendo una primaria e basilare forma di differenziazione dall’altro.

Tale processo ha come fine l’acquisizione dell’identità sessuale, intesa come insieme degli elementi che costituiscono la profonda comprensione di sé stessi come esseri viventi sessuati che non concerne unicamente l’aspetto biologico, ma si rifà alla totalità delle dimensioni della persona. La specificità del proprio sesso biologico non può rispondere da solo ad eventuali dubbi. A questo proposito è opportuno specificare che “nell’uomo e nella donna esisterebbero i geni sia della femminilità che della mascolinità. Il viraggio sessuale in un senso piuttosto che in un altro sarebbe una questione di “forza” dei determinanti sessuali sia maschili che femminili, presenti in ciascuno di essi” (Boiardi G, 1983).

Tra gli anni ’50 e ’60 si è cominciato a discutere sulla differenziazione tra sesso e genere. Secondo la definizione di una nota filosofa americana “Il genere è una copia di cui non esiste l’originale” (Butler J, 2017). Comunemente, dunque, l’identità di genere riguarda la soggettività sostanziale che sta alla base della tendenza a sentirsi appartenente alle categorie di donna o uomo, ovvero alle espressioni psicologiche, culturali e sociali del sesso biologico. Identifica, a conti fatti, una consapevolezza interiore che una persona ha del proprio essere sessuato.

Il ruolo di genere o identità di ruolo è l’espressione esteriore dell’identità di genere, ovvero come essa appare e si manifesta all’infuori della persona, a livello sociale e culturale. Dunque con tale termine si va a considerare tutto ciò che il soggetto dice e fa, gli atteggiamenti e le tendenze volte a far comprendere agli altri la sua appartenenza ad uno specifico sesso. Riguarda in buona sostanza tutto l’insieme delle caratteristiche socialmente accettate che un individuo dovrebbe assumere per poter essere considerato parte della categoria del maschile o del femminile.

Scostarsi dal pensiero dicotomico relativo alle categorie di femmina/maschio e femminile/maschile, aiuta sicuramente ad accogliere la complessità e a comprendere che il solo sesso biologico e gli stereotipi ad esso correlati non possono bastare per spiegare la totalità dell’individuo nella sua ineluttabile singolarità.

LA DISFORIA DI GENERE: QUANDO L’INCONGRUENZA È FONTE DI DISAGIO.

La disforia di genere è caratterizzata da una forte e persistente identificazione col sesso opposto associata ad ansia, depressione, irritabilità e spesso desiderio di vivere come genere diverso dal sesso assegnato alla nascita. Le persone con disforia di genere spesso credono di essere vittime di un incidente biologico e crudelmente incarcerate in un corpo incompatibile con la loro identità di genere soggettiva. La forma più estrema di disforia di genere può essere descritta come transessualismo. (APA, DSM-5, 2013).

Viene definito transessuale, quindi, il soggetto che, partendo da un basilare sentimento di non congruenza con il sesso assegnatogli per nascita e una persistente identificazione con l’altro sesso, avvia un processo di cambiamento (transizione) che gli consentirà di modificare le caratteristiche sessuali fisiche con l’intento di assumere un’identità di genere corrispondente al proprio sentire interiore.

Come espone quasi poeticamente Salvatore Cipressa nel suo libro del 2010 «Transessualità, tra natura e cultura» “[il transessuale] è convinto di rappresentare un “errore di natura” – di possedere cioè un’anima femminile in un corpo maschile e viceversa – e rifiuta il corpo che testimonia un’identità contraria a quella che egli presume di avere. Sostenendo di avere una “mente giusta” in un “corpo sbagliato”, vive una lacerante scissione tra corpo e mente, tra un corpo vissuto come gabbia e una psiche come larva incapace di dispiegarsi in farfalla”.

NELLA MENTE DI CHI SOFFRE

La più grande aspirazione dell’individuo in transizione non è diventare “come un uomo” o “come una donna”; ciò che più di ogni altra cosa desidera è essere considerato, e di conseguenza considerarsi, uomo o donna, soggetti reali e non costruzioni fantasiose copie di un’originale. Per tale ragione generalmente respinge con fervore la tendenza ad essere identificato come omosessuale da parte degli altri, in quanto tale termine identifica una comunque basilare congruenza tra l’interno e l’esterno. Desidera l’amore in un rapporto eterosessuale, percependo i suoi simili biologici come dissimili.

Dunque, nonostante la realtà corporea oggettiva che egli sperimenta quotidianamente, il fattore che più risulta determinante nella scelta della transizione è il totale e pervasivo senso di estraneità nei confronti del proprio corpo; egli sente per tanto di abitare all’interno di un guscio che non percepisce né identifica come “casa”. Il diniego del proprio corpo rimanda ad un’ostilità di fondo per i propri organi genitali; invece di esserne orgoglioso o semplicemente percepirli con serenità, il soggetto ne è disgustato al punto da volersene sbarazzare.

Una realtà che sicuramente è caratteristica della condizione transessuale è l’incessante propensione all’idealizzare il sesso opposto. Il soggetto quindi tende ad enfatizzare gli aspetti virili nell’uomo e la femminilità nella donna, ignorando a volte l’esistenza di fattori intermedi interagenti. In particolare il transessuale MtF vive con rammarico l’impossibilità di sperimentare tappe importanti della vita biologica della donna come il menarca, il ciclo mestruale, la gravidanza e il parto. Sicuramente questo porta la persona transessuale a concentrarsi molto su sé stessa, più di quanto normalmente accada agli altri. Ciò sembra contribuire a formare nell’individuo un narcisismo di fondo, che non bisogna intendere come compiaciuta contemplazione del proprio essere esteriore, ma come un narcisismo rovesciato, frutto dell’ansia e della frustrazione legate all’incoerenza esistente tra l’immagine soggettiva e l’immagine riflessa allo specchio (Cipressa S, 2010).

DIRITTI ED OPPORTUNITÀ NELLA REALTÀ TRANSESSUALE.

Come recita all’articolo 1 la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo approvata il 10 dicembre del 1948 dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite: “Tutti gli esseri umani nascono liberi e uguali per dignità e diritti”; ciò chiaramente esclude qualsivoglia forma di discriminazione. Il transessuale è ovviamente soggetto di diritti in quanto persona e cittadino e per questo imprescindibilmente meritevole di dignità, rispetto e tutela come ogni altro essere umano. Non esiste manifestazione discriminatoria che, perpetrata nei suoi confronti, possa essere in alcun modo giustificata, motivata e soprattutto accettata. Come ogni altro essere umano, il soggetto transessuale vive di difficoltà e problemi personali, possiede risorse e talenti che gli consentono di far fronte alla complessità del quotidiano esistere.

Alla persona transessuale è necessario che venga riconosciuta la facoltà di esercitare la propria libertà e le responsabilità che da essa derivano, che si costituiscono come nucleo originario dell’essenza della persona, la cui mancanza porta all’annullamento dell’esistenza della sua persona, a sofferenze indicibili. Il transessuale ha il diritto fondamentale di essere accolto, poiché nella vita la più terrificante delle gabbie nella quale ci si può imbattere è il proprio essere e da qui il rifiuto di sé stessi che ne deriva; il soggetto transessuale sperimenta tale situazione più di qualsiasi altra persona, pertanto necessita che il proprio malessere venga tamponato anche da chi è all’infuori di lui, da chi è altro da sé stesso.