Elisa è estremamente magra e in continuo movimento. Con il suo abbigliamento voluminoso cerca di nascondere le sue gambe e braccia magre. Elisa è anoressica e vuole nasconderlo.  Ha perso il controllo del controllo stesso. È pallida e si mostra nervosa. Le sue mani sono arrossate. Ha sempre freddo. Anche se sembra infelice e bisognosa di protezione, rifiuta completamente qualsiasi offerta di aiuto.

Quello di Elisa è un quadro clinico di anoressia nervosa, che rientra all’interno di un’area psicopatologica molto eterogenea, quella dei disturbi della nutrizione e dell’alimentazione, in cui vanno inclusi anche la bulimia nervosa, la pica, il disturbo da ruminazione, il disturbo da binge eating ecc. Ovviamente non tutte le persone con comportamenti alimentari ed esperienze atipiche con il cibo rientrano all’interno di queste mere etichette diagnostiche; ciò non diminuisce la sofferenza che queste provano di fronte alla propria immagine corporea e alle sensazioni di inadeguatezza di fronte agli altri. Infatti, in maniera abbastanza costante, si annovera la manifestazione di condotte strettamente legate al cibo, quali abbuffate, restrizioni alimentari e condotte eliminatorie compensative che vengono attuate a causa della preoccupazione rispetto al proprio peso e alla propria forma corporea, alla qualità e quantità dell’introito alimentare.

L’aspirazione di Elisa a essere perfetta la porta ad avere un ottimo successo universitario, nonostante la sua notevole debolezza fisica. Ma questo le sta richiedendo sempre più energia. Dove dovrebbe trovare questa energia? Elisa ha limitato sempre più la sua alimentazione fino al minimo necessario – due mele e uno yogurt magro al giorno. Nasconde in modo astuto il fatto che sta morendo di fame. Se qualcuno le parla del suo comportamento insolito, diventa aggressiva e interrompe la conversazione. Sua madre spera che questa ossessione sia temporanea, a maggior ragione perché è stata lei a dare a Elisa consigli su come perdere peso. Emma esagera sempre! Suo padre reagisce deridendola e ironizzando: Sei tutta pelle e ossa! Guarda la tua amica; lei ha tutto al posto giusto!

I perchè del comportamento anoressico

Alla base dei disturbi del comportamento alimentare e della nutrizione, a prescindere dal fatto di essere di fronte a una persona diagnosticabile come tale oppure sotto-soglia, vi è un problema che ha al centro il vissuto corporeo. Le persone con una predisposizione a comportamenti alimentari patologici spesso riferiscono una difficoltà nel percepire le proprie emozioni e nel sentire se stessi e il proprio corpo. Il corpo sembra non costituire più, apparentemente, l’esperienza essenziale del loro essere-nel-mondo e dunque la base della propria identità, ma è il mondo che diventa il luogo di definizione, col bisogno di riconoscimento positivo da parte degli altri in tutte le attività “imposte” dalla società attuale, i cui modelli vengono costruiti dai mass-media e condivisi dal pensiero comune. “Sentirsi carne” è però un requisito fondamentale per acquisire un’identità e un senso stabile di sé. È così che è possibile spiegare il significato della costante sensazione dell’essere affamati (starving): la fame permette di orientare il proprio essere-nel-mondo attraverso lo spostamento da quello che di noi pensano gli altri (sensazione gravosa per le persone che presentano queste problematiche), a ciò che noi veramente viviamo con il nostro corpo (sul quale le persone con disturbi alimentari riescono comunque a mantenere una sorta di controllo, ovviamente patologico).

La costante centratura sul corpo, perlopiù basata sulla continuità della sensazione della fame, sarà patologicamente riconfigurata nei termini di una capacità fuori dal comune di sapersi controllare, rendendo il soggetto una persona perfetta all’interno di un modo composto da persone che non hanno queste qualità. Però, considerando che il corpo può essere inteso metaforicamente come il punto di vista irradiante tutti gli altri punti di vista, ed è perciò che non può essere visto, reso cosa, ecco la difficoltà della persona tendenzialmente anoressica: è sempre sottoposta alla passività rispetto al proprio corpo, cioè è proprio perché cerca di controllarlo che subisce lo scacco del discontrollo. Ma il controllo stesso del corpo, paradossalmente, è l’unico rimedio che il soggetto riesce a escogitare per superare la paura del limite, la paura di non dimostrarsi adeguato, all’altezza degli altri. Ma questo rimedio si rivela essere peggiore del male che intendeva curare.

Elisa, ad esempio, è comunque una studentessa eccellente, fa molto sport, al pomeriggio sta in cucina e cucina per tutta la famiglia. Tutti sono stati fieri di lei quando la cicciottella ha fatto finalmente qualcosa per il suo peso e ha iniziato a mangiare in modo sano. Quando parla degli altri però Elisa nota sempre dei difetti. Parlando di una sua collega universitaria infatti dice: «quella sarà pure la più brava del corso, ma l’ho vista la mattina abbuffarsi con brioches piene di burro e sostanze chimiche; se si rendesse conto dei rotoli di grasso che ha, andrebbe a nascondersi». Il fatto che continuasse a ridurre la sua alimentazione sempre di più, che il suo peso ideale fosse sempre più basso, che conteggiasse le calorie in modo compulsivo l’ha fatta percepire una persona migliore, rispetto anche all’amica, ottima studentessa, anche più di successo rispetto a lei, che fa colazione la mattina.

 

Neurofisiologia del comportamento alimentare

In generale le indagini di neuroimaging funzionale mirano a dimostrare che nei pazienti con disturbi del comportamento alimentare vi siano alterazioni nel pattern di attivazione cerebrale rilevabili quando vengono presentati loro stimoli visivi con valenza emozionale quali, come si è detto, immagini relative al cibo, parole connesse all’immagine corporea, o immagini distorte del proprio corpo. Lo scopo ultimo è quello di indicare se vi siano basi di suscettibilità neurobiologica che possano essere identificati e indagati tramite indagini di neuroimaging funzionale.

Il cervello riceve una serie di informazioni dall’esterno e dall’interno, le integra e le elabora per determinare il comportamento alimentare. Un ruolo di primo piano in questo processo lo riveste l’ipotalamo. Costituisce la faccia inferiore del diencefalo e il pavimento del terzo ventricolo. In questa regione esistono una serie di circuiti neuronali deputati al controllo omeostatico del bilancio energetico. I neuroni del nucleo arcuato (ARC) rappresentano la prima stazione di raccolta ed integrazione: ricevono segnali di diversa natura ed origine provenienti dalla periferia, sazietà o fame ad esempio, elaborano una risposta che trasmettono a neuroni presenti in altri nuclei ipotalamici (neuroni di second’ordine) che poi avvieranno la possibile risposta di ricerca del cibo o eventualmente dell’astinenza.

Cosa fare?

Le persone con disturbi del comportamento alimentare sono incapaci di sentire il proprio corpo in maniera normale, di viverlo in una prospettiva in prima persona; ne deriva l’impossibilità di costituire la propria identità personale sulla base dei propri sentimenti corporei e delle proprie emozioni. In questi casi gli individui utilizzano lo sguardo dell’Altro per sentirsi, il digiuno o le restrizioni alimentari, le abbuffate e la quantificazione del proprio corpo. Attraverso specifiche strategie psicoterapeutiche si dovranno aiutare le persone con questa tipologia di sofferenza a differenziarsi dall’altro e a comprendere, da un punto di vista emotivo, cosa può essere realmente attribuibile alla propria percezione più che a quella indotta dalla società, dagli altri. E’ necessario che gli individui prestino maggiore attenzione a sé stessi, alle proprie emozioni e quindi al proprio corpo, affinché le esperienze comincino a dotarsi di una proprietà personale, più che ricevute dalla mediazione di un mondo che viene sì compreso, ma non vissuto in maniera autentica.

Bibliografia

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