Computer e smartphone rivestono un ruolo sempre più centrale nella nostra vita, al punto che è ormai difficile affrontare una giornata (o anche solo immaginare di farlo) senza questi “fedeli compagni”. Prolungamenti del sé, strumenti attraverso i quali monitorare e presenziare: questi oggetti, sofisticati e belli a vedersi, sono sicuramente un po’ tutto ciò. Oggetti che crediamo di possedere, ma che in realtà finiscono col gestirci, in molti casi senza che di questa nuova forma di legame ci sia reale consapevolezza.

L’avvento dell’era digitale ha, quindi, profondamente modificato il nostro modo di creare, affrontare e gestire la nostra quotidianità, di conseguenza anche e soprattutto le relazioni, che di questa sono atto fondante. Ogni volta che accendiamo uno smartphone ci imbattiamo nei social network e quindi in selfie, like, pubblicità di app per incontri, nei concetti di ghosting, haters, sexting, porno, e molto altro ancora. Come sempre, situazioni poco strutturate investono con più incidenza le “fasce più deboli”, come possono essere gli adolescenti: i giovani riconoscono che il corpo e la sessualità sono essenziali per la loro vita e per la crescita della loro identità.

Tuttavia, in un mondo che enfatizza esclusivamente la sessualità, come avviene nel cyberspazio, è difficile mantenere una buona relazione col proprio corpo e vivere serenamente le relazioni affettive per come le abbiamo conosciute fino ad oggi, è oggettivamente più complicato formare i significati della realtà e della magia di due corpi che si toccano.

IL SELFIE E IL TEMA DELLO SGUARDO

Quando si parla di selfie si intende una “fotografia scattata a se stessi, solitamente realizzata con uno smartphone (o un tablet o una webcam) che viene condivisa attraverso i social media”. Nel nostro Paese il termine viene generalmente rappresentato e tradotto dalle parole autoscatto o autoritratto fotografico.

Il suffisso -ie che caratterizza la parola rimanda ad un vezzeggiativo, tipico dello slang australiano (terra natìa del vocabolo), che può implicare un aspetto affettuoso e familiare, ma come nota la psicologa Pamela Rutledge, da un punto di vista semantico il selfie è un “piccolo Sé”, un aspetto dell’identità. A tal proposito, Barbieri (2016) afferma che quando una persona scatta un selfie si rappresenta e si rispecchia, costruendo dunque un’immagine di sé che lo mette in scena come un personaggio di una storia reale o possibile.

L’autoritratto viene osservato e valutato non solo dal suo autore ma da un pubblico (più o meno vasto), facendo assumere allo scatto una dimensione che comprende aspetti identitari, relazionali, cognitivi ed emotivi e che può provocare in chi guarda un insieme di pensieri, ipotesi, informazioni e reazioni.

Il desiderio di raffigurarsi e di rappresentarsi in azione è sempre appartenuto all’essere umano, il quale in passato utilizzava primariamente la pittura (la scultura era invece più tesa alla rappresentazione di qualcun altro). La natura del selfie può però essere più complessa, perché fornisce la possibilità di descrivere e narrare non solo differenti situazioni ma anche molteplici modi di rappresentarsi e raccontarsi. E se lo scatto non mi piace, posso rifarlo ancora.

Inoltre, raggiunta l’immagine desiderata, posso modificarla con i filtri o specifiche app per poter rendere la foto ancora più desiderabile. A furia di modificare le immagini però, creiamo un Sé ideale (e idealizzabile dagli altri) che ci riproduce per come ci piacerebbe vederci o abbiamo l’ambizione di diventare. Nelle modificazioni più marcate assistiamo a delle vere e proprie trasformazioni, correndo il rischio di diventare avatar di noi stessi, creando un alter ego virtuale, verosimile ma non reale.

LA “RELAZIONE DIGITALE”

Se tutto questo è vero per la stragrande maggioranza delle persone, ancor di più lo è per i giovani. Per loro, il computer e lo smartphone rappresentano – oltre a quanto già accennato – anche molto altro, porte d’accesso a un mondo virtuale sentito come protettivo, luogo sicuro in cui ritirarsi per un tempo sempre più lungo. Nel virtuale, infatti, non c’è apparente minaccia, non è necessario avere particolari competenze relazionali. 

Tutto è di facile e immediata accessibilità: il Web rappresenta un luogo, simbolicamente e concretamente, dal quale si può entrare ed uscire con estrema facilità e velocità. Si diffondono le relazioni “mordi e fuggi”, che si formano con rapidità e con la stessa celerità si interrompono. Relazioni che non hanno il tempo di trasformarsi in legami solidi, che rimangono liquide appunto, come affermava il sociologo Bauman.

Il cyberspazio seduce, inoltre, perché non ha regole, o perlomeno ne ha molte meno di quelle imposte dalla realtà sociale, consentendo una gestione del tutto autonoma del tempo e delle attività. Tipicamente, un adolescente trascorre diverse ore al giorno al computer o davanti allo smartphone – nei casi più severi, la letteratura psichiatrica parla di Internet Addiction Disorder, cioè di Dipendenza da Internet – girovagando su Facebook, chattando e giocando, in un passaggio dall’una all’altra attività che potremmo definire compulsivo. 

EROS E CYBERSPAZIO

La conoscenza di questo trend potrebbe già da sola essere sufficiente a generare un certo allarme circa il benessere dei più giovani e le prospettive della nostra società. Tuttavia, a destare particolare preoccupazione è il rapporto che i ragazzi hanno con la pornografia all’interno del cyberspazio.

 Accedere a contenuti pornografici oggi è estremamente facile, al punto che per molti l’incontro con la “sessualità” avviene in età precoce, mediato dall’infinito materiale esistente in Rete. Una sessualità che ovviamente si presenta monca di sentimento e sensualità, e che si eleva a parametro di riferimento per chi, come un giovanissimo, non ha in repertorio altre esperienze. I nativi digitali, molti di loro almeno, in quelle immagini vedono “la realtà”.

Quel tipo di sessualità, come in una sorta di imprinting, rischia di diventare “la sessualità”. I ragazzi potrebbero credere che tutto ciò che osservano sia la norma – dalle dimensioni del pene alla frequenza dell’atto sessuale –, interiorizzando un modello certamente lontano dal vero. Un modello con il quale non si può competere, e per questa ragione generatore d’ansia. Cosa non meno grave, i giovani finiscono presto col pensare che i partner, come quelli dei video, abbiano quei desideri e si approccino all’altro in quel modo. La sessualità diventa l’ennesimo ambito in cui fare a gara e dimostrare qualcosa, a se stessi prim’ancora che agli altri. Consequenziale è l’insorgere, in molti casi, di problematiche sessuali già in età adolescenziale.

In questa immersione totale nel cyberspazio, come dicevamo quotidiana e prolungata, i ragazzi potrebbero non avere modo di esercitarsi per imparare le competenze di base della comunicazione sociale. La sensazione è che il mondo del dating online, se non gestito al meglio, possa trasformarsi in realtà in lunghe sessioni di “casting”, dove il corteggiante non incarna più la persona che mostra slancio e coinvolgimento per un soggetto ben specifico, ma si getta contemporaneamente in numerose chat alla ricerca di rapidi flirt che possano condurre a risvolti di carattere sessuale.

Questa nuova modalità di relazionarsi, fatta di strategie a colpi di “cuori” e like, rischia di condurre al sacrificio di alcune dimensioni che forse costituiscono la base stessa del corteggiamento, ovvero l’attesa, il desiderio, la pazienza, il piacere della scoperta, il rischio. Abituati al tutto e subito, al “soddisfatti o rimborsati”, il coraggio scompare e regna la comodità, per cui si preferisce andare sul sicuro della pornografia e del sesso virtuale. L’ansia del confronto e la voglia di dimostrare sono invece dietro l’angolo per coloro i quali dovessero vivere realmente la propria sessualità. Il piacere e la magia dello scambio sessuale diventano in questi casi poco più di un epifenomeno. 

COSA FARE?

Al cospetto di tale scenario, presente in ogni Paese del mondo in cui esista un libero accesso a Internet, in che modo è possibile intervenire per aiutare i giovani a venir fuori dalle sabbie mobili del virtuale? Cosa fare per far sì che vivano un sano processo di crescita emotiva e relazionale pur in un’epoca in cui non si può più prescindere dall’utilizzo del computer e dello smartphone? 

Posto che non si tratta di una problematica che nasce all’interno dell’individuo, ma nel più ampio sistema sociale – e che, sottolineiamolo, non riguarda la totalità dei giovani ma una loro significativa parte –, in quali zone della società bisogna muoversi per provare a cambiare marcia? 

Quel che è certo è che la scuola, come fondamentale agenzia educativa, potrebbe e dovrebbe avere, in questo senso, un ruolo di primaria importanza. Lontano dal limitarsi a veicolare concetti, essa dovrebbe anche introdurre i giovani al tema della sessualità.

Non è azzardato affermare che, insieme a figure genitoriali non sempre presenti (su un piano fisico e/o emotivo), la scarsa attenzione mostrata dalla scuola nei confronti dell’educazione sessuale è da annoverare oggi tra le principali cause del ritirarsi dei ragazzi nel mondo virtuale. Attualmente troppo poco viene fatto per prepararli in un ambito della loro vita di sicuro tra i più delicati e importanti. Una simile modalità educativa dovrebbe da eccezione diventare regola, considerato che in gioco c’è non solo il benessere dei nostri figli, ma, come dicevamo, anche il futuro della nostra società.

I devices tecnologici sono strumenti eccezionali, di cui abbiamo la fortuna di disporre, che ci danno la possibilità di realizzare attività impensabili fino a qualche anno fa. L’era digitale costituisce un mondo ricco di opportunità e risorse, sta a noi svilupparlo al meglio per aumentare il nostro benessere, non per diminuirlo.

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

Barbieri G.L., (2016). “Il selfie: pensieri nascosti, fantasie di auto creazione, tratti di personalità”, Rivista Internazionale di Filosofia e Psicologia, 7(3), 378-389.

Marchioro F., (2015). “Selfie. Il narcisismo digitale”, Psicologia Contemporanea, 247, 14-21.

Spaccarotella M., (2020). Il Piacere Digitale #Sex&TheSocial. Firenze: Giunti Psychometrics.

Zimbardo P., Coulombe N. (2015), Maschi in difficoltà. Perché la nuova generazione ha sempre più problemi e come fare per aiutarla (ed. it. a cura di S. Cianciabella), Franco Angeli, Milano.